Un attimo e via come se nulla fosse mai stato. Migliaia di corse, centinaia di Gran Premi, 5 vittorie in Formula 1, poi il cedimento della vettura che stava provando e la fine. Così se n’è andato il grande Michele Alboreto il 25 aprile del 2001 al Lausitzring. Il ricordo di un grande uomo, un grande pilota e soprattutto una grande personalità dal sorriso infinito.
Nell’immagine Michele Alboreto sul gradino più alto del podio al GP di Germania, il 4 agosto 1985, anno in cui sfiorò il mondiale in Formula 1 con Ferrari. In quella domenica di 30 anni fa il milanese vinse la sua seconda gara stagionale tagliando il traguardo davanti ai francesi Alain Prost e Jacques Laffite. Oggi un altro anniversario ma estremamente triste: sono trascorsi sedici anni esatti dal 25 aprile 2001. Il giorno maledetto del Lausitzring che portò via Alboreto, vittima di un incidente causato dal kappaò di uno pneumatico, mentre stava collaudando l’Audi in vista di Le Mans. Il ricordo del fratello Ermanno, unico depositario degli “albori” di Alboreto: «Papà ci porta a vedere il film “Indianapolis, pista infernale” con Paul Newman protagonista e ci parte la bolla. Inizio io col motocross, poi nel 1976 arriva lui, già diplomato perito meccanico, che salta il kart e compra una F. Monza, a 875mila lire, in comproprietà con un amico. Michele per correre è costretto a vendersi la prima moto, una Mondial Sachs 125, ed è pronto a disputare una gara a testa col socio, ma costui, andando a fare la licenza, scopre d’essere daltonico e mio fratello si ritrova per caso pilota a tempo pieno». O Piercarlo Ghinzani, compagno ai tempi della F3 e poi del mondiale Endurance: «Vinciamo al Mugello e i meccanici ci fanno una gran festa: un giorno stupendo. È così che lo ricordo: veloce, sorridente, un gran mastino in pista e un signore nella vita. Provo per lui tanta stima e un immenso affetto».
Impossibile non interpellare Gian Carlo Minardi, che lo fece debuttare in F2: «Michele non ebbe fortuna quando ne avrebbe avuto bisogno. Capitò alla Ferrari nel momento più difficile e l’anno dopo, nel 1985, perse un mondiale senza sbagliare nulla. Infine, a quasi 45 anni, ebbe quell’incidente non per colpa sua, lui che era uno che sbatteva il meno possibile».René Arnoux, suo compagno di team in Scuderia Ferrari nel biennio ’84-’85 lo ricorda così: «Ecco, mi sono sempre chiesto come potesse essere possibile che un uomo così valido, così nobile d’animo, riuscisse ad andare così forte, perché in genere le due cose non sono così automatiche e compatibili. Invece lui era un campione come pilota ma anche un grande come persona. Prendi il 1985. Se la Ferrari non avesse avuto la caduta di affidabilità, Michele avrebbe tranquillamente battuto la McLaren-Tag-Porsche di Alain Prost.». Infine Emanuele Pirro, compagno di colori di Michele nell’armada Audi e avversario in Formula 1, che sottolinea le doti gladiatorie di Alboreto: «Lì era tosto, mica ci potevi scherzare tanto. Ricordo nel 1990 al Gp del Canada, l’asfalto si stava asciugando, lui era con le slick, io con le rain. Tenta di superarmi, io chiudo, ci agganciamo e finiamo fuori. Fine. Cavolo, si arrabbiò parecchio e io, sbagliando per puro orgoglio, lo accusai a mia volta. Siamo rimasti in rogna un po’ poi è andato tutto a posto, perché lui era uno intellettualmente onesto e in buona fede. Sempre».